venerdì 13 giugno 2014

Il braccialetto capitalista della donna libera e forte. La retorica antivittima



Il capitalismo è onnipervasivo, strumentalizza, mercifica, sussume nel processo di valorizzazione qualsiasi realtà, inclusa quella, drammatica, della violenza maschile sulle donne. Un'incorporazione funzionale alla rappresentazione di sé come sistema filantropico, benefattore dell'umanità; una raffigurazione che mira, ovviamente, a neutralizzare qualsiasi forma di contestazione e, soprattutto, a conferire valore aggiunto alle merci che produce.
Così  #NientePaura si  descrive come un'impresa "che vuole innovare profondamente il capitalismo, rendendolo solidale e socialmente utile, in una parola: umanizzato".
A tal fine assicura di voler destinare il 10% degli utili all'erogazione di finanziamenti alle organizzazioni no-profit e a alla realizzazione di progetti sociali, compresi alcuni contro la violenza sulle donne. A questo scopo si avvale anche della collaborazione dell'associazione SOS Vittime Onlus fondata dalla criminologa Roberta Bruzzone.
Ne parla in un bell'articolo Enrica,blogger di Un altro genere di comunicazione .Concordo con la sua valutazione del capitalismo: un modo di produzione  alieno da qualsiasi parvenza di umanità, sfruttatore, oppressivo, un sistema che, precarizzando il lavoro e la vita, concorre ad accrescere la vulnerabilità delle donne  e ad ostacolarne il percorso di fuoriuscita dalla violenza.
Il primo oggetto lanciato  dall'azienda #NientePaura  è Tatù: un braccialetto di gomma termoplastica, il cui nome deriva dalla somiglianza ad un tatuaggio e il cui prezzo, pari a 25 €, risulta molto elevato, considerato il materiale con cui è confezionato e il prevedibilmente basso costo di produzione. E' un prezzo che, come si apprende leggendo il messaggio pubblicitario, remunera le spese sostenute a favore delle organizzazioni no-profit, ma incorpora anche principi e immaginari, generando un'alchimia simbolica che ne accresce il valore di scambio.
 
#Tatù è un braccialetto di grande raffinatezza, se pur creato con un materiale non certo di lusso, ma con un valore inestimabile per ciò che vuole rappresentare, per il simbolo che aspira a diventare, per l’importante contributo che darà al terzo settore rappresentato dalle Associazioni ogni giorno accanto a chi è in difficoltà.
 
Che cosa vuole rappresentare, che simbolo aspira a diventare Tatù? E' importante rispondere a questa domanda, perché, a mio parere, questo oggetto rappresenta l'avvio di un mutamento di trend nella rappresentazione pubblicitaria della violenza sulle donne e  costituisce un segnale  della captazione capitalista della retorica dell'abolizione della nozione di vittima, cui vengono impropriamente e ingiustamente attribuiti tratti caratteriali come la debolezza e la passività. Il capitalismo è sensibile ai cambiamenti di mentalità, li registra e li incorpora, vampirizzando e colonizzando l'immaginario collettivo. 
Ora, Tatù è "un tatuaggio, dunque un simbolo, che rappresenta una presa di posizione forte rispetto a una realtà oppressiva dalla quale uscire con determinazione e senza paura.  “PADRONA DEL TUO DESTINO!” è lo slogan che abbiamo scelto", un motto scritto a lettere cubitali e in grassetto, a sottolineare l'assertività della donna forte e autonoma che indosserà il bracciale. Quest'ultimo non è destinato e dedicato, infatti, alle vittime della violenza, bensì alle donne che riescono ad uscirne e a quelle che dimostrano  di possedere "energia, determinazione, capacità di superare limiti" considerati fino ad allora insormontabili,  incarnando appunto il modello dell'individuo "padrone del proprio destino".
La retorica su cui è imperniato il messaggio pubblicitario è caratterizzata da un susseguirsi di antinomie in parte implicite: alla donna sottomessa si contrappone quella libera, alla violenza l'amore per sé, al cambiamento l'immobilismo, all'energia la  fiacchezza, la debolezza, alla determinazione la titubanza, alla donna svincolata dai condizionamenti culturali quella che "cammina un passo dietro l'uomo" e, infine, a quella "incapace di camminare da sola"  la donna autodeterminata.
Invito a rilevare l'infantilizzazione della vittima di violenza. Sono i neonati infatti a non essere in grado di deambulare e i bambini piccoli quelli che, per muovere un passo, hanno bisogno del sostegno dell'adulto.  Traspare, dal testo del messaggio, un sottile disprezzo, sentimento recepito dalla retorica dominante sulla vittima, nei confronti di chi ha subito violenza. E' da parecchio tempo che in Italia e non solo si articolano discorsi sulla vittima  dei maltrattamenti maschili come donna debole e passiva e ci si intrattiene sulla miseria femminile di chi ha subito violenza. Di questa retorica si è appropriato il marketing. Non mi stupisce.  Il capitalismo neoliberista non si fonda forse  sulla celebrazione della libertà,  della determinazione, del dinamismo, dell'assunzione personale della responsabilità e del rischio, dell'autoaffermazione? Soggetti percepiti come passivi, deboli, indecisi non sono certo funzionali alle intensificate esigenze produttive del capitalismo neoliberista, non  offrono prestazioni performanti. Sono identificati come falliti e responsabili della propria disfatta. Non c'è spazio per le vittime nel capitalismo.
Nel video che promuove il braccialetto in questione, Enrica di Un altro genere di comunicazione intravede soprattutto il  ricorso massiccio a quello che definisce "l'immaginario mainstream della violenza contro le donne": le scarpe rosse, le due scene del pestaggio, immerse, però, in un'atmosfera glamour da discoteca alla moda. Ciò la induce ad interpretare il messaggio veicolato dal video come un suadente invito a "diventare la nuova testimonial del capitalismo dal volto umano". Sono d'accordo con lei, ma per me immagini e parole rappresentano anche  la cattura pubblicitaria dell'esaltazione della donna libera, implicitamente contrapposta alla vittima. Sullo sfondo del video scorre la scritta "Vai determinata alla meta", mentre nelle interviste riecheggiano i vocaboli "forte", "forza", "libera", "coraggio", "cambiamento".
Il filmato presenta anche in sequenza una donna con il bracciale che aggredisce un uomo e successivamente lo abbraccia,  quando le offre delle rose, un gesto che esprime simbolicamente  "l'amore puro"  di chi "chiede con gentilezza", anziché pretendere. Trattandosi di un video contro la violenza maschile sulle donne, è evidente come la scena dell'aggressione debba essere interpretata come una reazione di legittima difesa, significata e in un certo senso sollecitata dal braccialetto, cui pare vengano attribuiti poteri taumaturgici. Tatù, si legge, infatti, nel messaggio pubblicitario "è il simbolo della donna che non si fa mettere i piedi sulla testa e reagisce con forza ai soprusi verso se stessa o verso gli altri. E' una donna con un forte senso di giustizia, capace di farsi avanti senza paura per difendersi e difendere chi le sta accanto".  La scena e il messaggio commentato  si configurano dunque come una celebrazione della pratica dell'autodifesa e, ancora una volta, della forza fisica e psicologica  di una potentissima, invincibile eroina.
Mi pare dunque evidente come la retorica della "donna libera e forte", antitetica all'immagine della vittima, ingiustamente presunta debole e passiva,  non sia per nulla estranea all'ideologia capitalista.

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 



 



 
 
 
 

 






 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 



 


 

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