giovedì 19 giugno 2014

Per favore, smettiamola di colpevolizzare le vittime

 



Daniele Giglioli, docente di letterature comparate all'università di Bergamo, è autore del libello Critica della vittima.
Il suo pamphlet, che attinge ad un ampio e ormai consolidato repertorio di topoi contro le vittime, si fonda - duole dirlo-  sulla generalizzazione, sull'attribuzione arbitraria ai soggetti che subiscono violenza di tratti psicologici  che non possiedono e sull'incomprensione del processo di formazione della coscienza e dello status, in genere transitorio, della vittima. Si espone inoltre al rischio di produrre  una sorta di eterogenesi dei fini; potendo essere recuperato dagli avversari per negare l'esistenza dell'oppressore, anziché essere interpretato come  stimolo alla formazione di un soggetto in grado di trasformare profondamente la realtà.
Coniugando analisi letteraria e ricerca genealogica, Giglioli denuncia la passività, l'impotenza, la mancata assunzione di responsabilità della vittima che si crogiola in uno stato che le conferisce prestigio e le garantisce ascolto e riconoscimento, ma la imprigiona al contempo in una condizione ontologica paralizzante di debolezza, mancanza e risentimento.
Accogliendo la sollecitazione femminista a partire da sé, per contrastare questa rappresentazione, farò riferimento alle donne che subiscono  atti di violenza maschile.
A mio avviso, è indispensabile operare una distinzione, per adottare il linguaggio marxista, tra vittima in sé e vittima per sé, ossia tra  condizione oggettiva e percezione soggettiva  del proprio vissuto, consistendo la prima nel subire atti di sopraffazione e la seconda nell'acquisire consapevolezza dell'ingiustizia e dell'intollerabilità di tali azioni. La formazione di tale coscienza presuppone che la vittima si liberi  da un opprimente senso di colpa e cessi di assumersi responsabilità che  non sono sue, ma dell'autore dei maltrattamenti. In un rapporto di coppia imperniato sulla violenza, la responsabilità di quanto accade viene infatti dislocata sulla vittima. Il maltrattante l'accusa di provocarlo, di scatenarne l'aggressività. La donna, a sua volta, per una serie di motivi che non intendo qui analizzare, interiorizza un profondo senso di colpa e si accolla il peso delle azioni compiute dall'uomo. In tal modo sfugge al sentimento di impotenza  e si convince che, modificando il proprio comportamento, riuscirà a mutare anche quello del partner violento. Per sfuggire all'irritazione di quest'ultimo, si attiva freneticamente, adottando una molteplicità di strategie, vane, perché i comportamenti del maltrattante non rientrano nella sua responsabilità. Non può, dunque, prevenirli.
Il comportamento della vittima in sé è connotato, quindi, dall' iperattività, da un intenso senso di colpa e dall'assunzione di responsabilità che non le competono: esattamente il contrario di quanto affermato da Giglioli e da altri autori.
E’ soltanto quando cessa di colpevolizzarsi, di accollarsi il peso delle azioni altrui e inizia, spesso grazie al sostegno e ai consigli di qualche parente o amica, a maturare la consapevolezza di essere vittima di soprusi, che la donna può intraprendere un percorso di uscita dalla violenza.
E' in questo momento che  cessa di accettare la condizione di oppressione e di subordinazione cui è assoggettata e decide di reagire ponendo fine alla relazione.
Percepirsi come vittima è, dunque, l’indispensabile preludio alla successiva ribellione alla violenza che si subisce.
Raccontare pubblicamente la propria esperienza non significa rendere perenne l'identità di vittima, che si è dissolta nel preciso momento in cui si è cessato di subire violenza.  Né significa mantenersi sul piano dell'emotività o ipostatizzare i fatti in valori, anziché interpretarli razionalmente. Al contrario! E' il dipanarsi dei racconti delle vittime e delle ex vittime a consentire  a psicologi e sociologi di spiegare fatti e fenomeni, al fine di prevenirli e combatterli.
Questa analisi può essere estesa anche ad altre "categorie" di vittime? Penso di sì.
Consideriamo ad esempio l'uomo indebitato che per Maurizio Lazzarato costituisce  la figura paradigmatica del capitalismo contemporaneo. A connotarlo  è un radicato senso di colpa,  una coscienza infelice e l'assunzione su di sé della responsabilità, dei costi e dei rischi esternalizzati dallo Stato e dalle imprese. Si tratta, come si può notare, degli stessi sentimenti e degli stessi caratteri che contraddistinguono la vittima in sé della violenza maschile. Per  ribellarsi e affrancarsi da questa situazione, è indispensabile che l'indebitato si riscatti dal senso di colpa e  cessi di assumersi responsabilità che non sono sue, ma dei capitalisti.
Vorrei a questo punto osservare come le stesse virtù evocate e celebrate da Giglioli, in antitesi ai difetti attribuiti alle vittime, siano state convertite dalla governamentalità neoliberista in dispositivi intrapsichici di valorizzazione del capitale. Esaminiamo ad esempio il concetto di responsabilità.  Disoccupati, precari, insolventi, perdenti sono ritenuti colpevoli di una sconfitta che riposerebbe su una loro presunta insufficienza e difettività. Scrivono Pierre Dardot e Christian Laval ne La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista:
 
Se non possiamo cambiare il mondo non ci resta che inventare noi stessi. [...] Dal momento che il soggetto è pienamente cosciente e padrone delle proprie scelte, è anche pienamente responsabile di quello che gli capita: <<l'irresponsabilità>> di un mondo divenuto ingovernabile per la sua stessa caratteristica di globalità ha come controparte l'infinita responsabilità dell'individuo per il proprio destino, per la propria capacità di avere successo ed essere felice. Non accollarsi il passato, coltivare previsioni positive, intrattenere relazioni efficaci con gli altri: la gestione neoliberista di se stessi consiste nel fabbricarsi un io efficiente, che esige sempre di più da se stesso [...] I problemi economici sono considerati come problemi di organizzazione e questi ultimi si riconducono a loro volta a problemi psichici legati a un'insufficiente padronanza di sé e del proprio rapporto con gli altri. La fonte dell'inefficienza ce la portiamo dentro, non può più venire da un'autorità esterna. [...] La costrizione economica e finanziaria si trasforma così in autocostrizione e autocolpevolizzazione, perché siamo i soli responsabili di quello che succede". (pp.436-437)
 
Le stesse considerazioni si possono applicare ai concetti di attività, dinamismo, forza, costante  trasformazione e rimodellamento di sé ecc.
Il libello di Giglioli si presta ad interpretazioni fuorvianti da parte di chi approfitta della critica della vittima per occultare la presenza del colpevole e dell'oppressore, per rimuovere la questione stessa dei rapporti di dominio e di subordinazione. Può, inoltre, essere interpretato come l'ennesima forma di colpevolizzazione della vittima che rischia di paralizzarla, di imprigionarla davvero, in quanto sopraffatta da un sentimento di vergogna, in una condizione di eterna violenza e sofferenza. E a questo proposito, per concludere, ricordo che anche la stigmatizzazione dei "perdenti", come notano acutamente Dardot e Laval, è costitutiva della razionalità neoliberista.

venerdì 13 giugno 2014

Il braccialetto capitalista della donna libera e forte. La retorica antivittima



Il capitalismo è onnipervasivo, strumentalizza, mercifica, sussume nel processo di valorizzazione qualsiasi realtà, inclusa quella, drammatica, della violenza maschile sulle donne. Un'incorporazione funzionale alla rappresentazione di sé come sistema filantropico, benefattore dell'umanità; una raffigurazione che mira, ovviamente, a neutralizzare qualsiasi forma di contestazione e, soprattutto, a conferire valore aggiunto alle merci che produce.
Così  #NientePaura si  descrive come un'impresa "che vuole innovare profondamente il capitalismo, rendendolo solidale e socialmente utile, in una parola: umanizzato".
A tal fine assicura di voler destinare il 10% degli utili all'erogazione di finanziamenti alle organizzazioni no-profit e a alla realizzazione di progetti sociali, compresi alcuni contro la violenza sulle donne. A questo scopo si avvale anche della collaborazione dell'associazione SOS Vittime Onlus fondata dalla criminologa Roberta Bruzzone.
Ne parla in un bell'articolo Enrica,blogger di Un altro genere di comunicazione .Concordo con la sua valutazione del capitalismo: un modo di produzione  alieno da qualsiasi parvenza di umanità, sfruttatore, oppressivo, un sistema che, precarizzando il lavoro e la vita, concorre ad accrescere la vulnerabilità delle donne  e ad ostacolarne il percorso di fuoriuscita dalla violenza.
Il primo oggetto lanciato  dall'azienda #NientePaura  è Tatù: un braccialetto di gomma termoplastica, il cui nome deriva dalla somiglianza ad un tatuaggio e il cui prezzo, pari a 25 €, risulta molto elevato, considerato il materiale con cui è confezionato e il prevedibilmente basso costo di produzione. E' un prezzo che, come si apprende leggendo il messaggio pubblicitario, remunera le spese sostenute a favore delle organizzazioni no-profit, ma incorpora anche principi e immaginari, generando un'alchimia simbolica che ne accresce il valore di scambio.
 
#Tatù è un braccialetto di grande raffinatezza, se pur creato con un materiale non certo di lusso, ma con un valore inestimabile per ciò che vuole rappresentare, per il simbolo che aspira a diventare, per l’importante contributo che darà al terzo settore rappresentato dalle Associazioni ogni giorno accanto a chi è in difficoltà.
 
Che cosa vuole rappresentare, che simbolo aspira a diventare Tatù? E' importante rispondere a questa domanda, perché, a mio parere, questo oggetto rappresenta l'avvio di un mutamento di trend nella rappresentazione pubblicitaria della violenza sulle donne e  costituisce un segnale  della captazione capitalista della retorica dell'abolizione della nozione di vittima, cui vengono impropriamente e ingiustamente attribuiti tratti caratteriali come la debolezza e la passività. Il capitalismo è sensibile ai cambiamenti di mentalità, li registra e li incorpora, vampirizzando e colonizzando l'immaginario collettivo. 
Ora, Tatù è "un tatuaggio, dunque un simbolo, che rappresenta una presa di posizione forte rispetto a una realtà oppressiva dalla quale uscire con determinazione e senza paura.  “PADRONA DEL TUO DESTINO!” è lo slogan che abbiamo scelto", un motto scritto a lettere cubitali e in grassetto, a sottolineare l'assertività della donna forte e autonoma che indosserà il bracciale. Quest'ultimo non è destinato e dedicato, infatti, alle vittime della violenza, bensì alle donne che riescono ad uscirne e a quelle che dimostrano  di possedere "energia, determinazione, capacità di superare limiti" considerati fino ad allora insormontabili,  incarnando appunto il modello dell'individuo "padrone del proprio destino".
La retorica su cui è imperniato il messaggio pubblicitario è caratterizzata da un susseguirsi di antinomie in parte implicite: alla donna sottomessa si contrappone quella libera, alla violenza l'amore per sé, al cambiamento l'immobilismo, all'energia la  fiacchezza, la debolezza, alla determinazione la titubanza, alla donna svincolata dai condizionamenti culturali quella che "cammina un passo dietro l'uomo" e, infine, a quella "incapace di camminare da sola"  la donna autodeterminata.
Invito a rilevare l'infantilizzazione della vittima di violenza. Sono i neonati infatti a non essere in grado di deambulare e i bambini piccoli quelli che, per muovere un passo, hanno bisogno del sostegno dell'adulto.  Traspare, dal testo del messaggio, un sottile disprezzo, sentimento recepito dalla retorica dominante sulla vittima, nei confronti di chi ha subito violenza. E' da parecchio tempo che in Italia e non solo si articolano discorsi sulla vittima  dei maltrattamenti maschili come donna debole e passiva e ci si intrattiene sulla miseria femminile di chi ha subito violenza. Di questa retorica si è appropriato il marketing. Non mi stupisce.  Il capitalismo neoliberista non si fonda forse  sulla celebrazione della libertà,  della determinazione, del dinamismo, dell'assunzione personale della responsabilità e del rischio, dell'autoaffermazione? Soggetti percepiti come passivi, deboli, indecisi non sono certo funzionali alle intensificate esigenze produttive del capitalismo neoliberista, non  offrono prestazioni performanti. Sono identificati come falliti e responsabili della propria disfatta. Non c'è spazio per le vittime nel capitalismo.
Nel video che promuove il braccialetto in questione, Enrica di Un altro genere di comunicazione intravede soprattutto il  ricorso massiccio a quello che definisce "l'immaginario mainstream della violenza contro le donne": le scarpe rosse, le due scene del pestaggio, immerse, però, in un'atmosfera glamour da discoteca alla moda. Ciò la induce ad interpretare il messaggio veicolato dal video come un suadente invito a "diventare la nuova testimonial del capitalismo dal volto umano". Sono d'accordo con lei, ma per me immagini e parole rappresentano anche  la cattura pubblicitaria dell'esaltazione della donna libera, implicitamente contrapposta alla vittima. Sullo sfondo del video scorre la scritta "Vai determinata alla meta", mentre nelle interviste riecheggiano i vocaboli "forte", "forza", "libera", "coraggio", "cambiamento".
Il filmato presenta anche in sequenza una donna con il bracciale che aggredisce un uomo e successivamente lo abbraccia,  quando le offre delle rose, un gesto che esprime simbolicamente  "l'amore puro"  di chi "chiede con gentilezza", anziché pretendere. Trattandosi di un video contro la violenza maschile sulle donne, è evidente come la scena dell'aggressione debba essere interpretata come una reazione di legittima difesa, significata e in un certo senso sollecitata dal braccialetto, cui pare vengano attribuiti poteri taumaturgici. Tatù, si legge, infatti, nel messaggio pubblicitario "è il simbolo della donna che non si fa mettere i piedi sulla testa e reagisce con forza ai soprusi verso se stessa o verso gli altri. E' una donna con un forte senso di giustizia, capace di farsi avanti senza paura per difendersi e difendere chi le sta accanto".  La scena e il messaggio commentato  si configurano dunque come una celebrazione della pratica dell'autodifesa e, ancora una volta, della forza fisica e psicologica  di una potentissima, invincibile eroina.
Mi pare dunque evidente come la retorica della "donna libera e forte", antitetica all'immagine della vittima, ingiustamente presunta debole e passiva,  non sia per nulla estranea all'ideologia capitalista.

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 



 



 
 
 
 

 






 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 



 


 

lunedì 2 giugno 2014

Un programma femminista, abolizionista, antirazzista, di sinistra. Parte II



Presenterò qui le proposte incluse nella seconda parte del programma elaborato da Feministiskt initiativ, il partito femminista svedese, che ha eletto una sua esponente al Parlamento europeo.
 
Ambiente e sistema energetico
Lo sviluppo sostenibile costituisce il prerequisito necessario per raggiungere il benessere e la prosperità.
L'etichetta applicata  ai prodotti alimentari deve includere riferimenti  al trattamento riservato agli animali da allevamento.
Feministiskt initiativ si impegnerà a promuovere una maggiore produzione e un più esteso consumo di beni e di alimenti a basso impatto ambientale e a garantire che essi vengano privilegiati negli appalti pubblici, assieme  ai prodotti del commercio equo e solidale. 
Il partito vuole aumentare le tasse sulle attività dannose per l'ambiente e ridurre quelle applicate al lavoro.
Feministiskt initiativ intende promuovere la bioedilizia, la costruzione, cioè, di case ecologiche, caratterizzate da un basso consumo di energia.
Essa si impegnerà ad assicurare che i Paesi in via di sviluppo non vengano utilizzati come discarica dei rifiuti prodotti dagli Stati occidentali.
Il sistema energetico deve essere sostenibile, fondato sul risparmio, sull'impiego di fonti rinnovabili e sulla riduzione drastica delle emissioni di gas serra. Entro il 2040 la Svezia dovrebbe diventare completamente indipendente dai combustibili fossili.
Si deve incentivare la ricerca e l'uso di carburanti alternativi sui quali devono essere applicate imposte di minore importo.
Deve essere introdotta una tassa mondiale sulle emissioni di gas serra, i cui introiti devono essere amministrati dall'ONU  e distribuiti ai Paesi in via di sviluppo  allo scopo di affrontare le "catastrofi naturali" e  di incentivare l'adozione di programmi di sviluppo sostenibile.
In Svezia non deve essere costruita nessuna altra grande centrale idroelettrica.
Deve essere favorita la produzione di energia eolica e solare. Purtroppo, il partito è favorevole all'uso dell'energia nucleare.
Deve essere ulteriormente sviluppato il trasporto pubblico, in particolare quello ferroviario.
Ogni Comune svedese deve essere munito di piste ciclabili.
Deve cessare la costruzione di autostrade.
Il trasporto aereo e il trasporto merci su mezzi pesanti deve essere dirottato sulla rete ferroviaria.
Deve essere introdotta una carbon tax sul cibo, al fine di ridurre il consumo di carne. Negli appalti pubblici deve essere assegnata la priorità all'acquisto di prodotti vegetali biologici sui quali è necessario ridurre l'IVA. Deve essere sostenuta, anche con incentivi fiscali, la transizione verso l'agricoltura biologica.
Occorre vietare la produzione e il consumo degli OGM.
Deve essere salvaguardato il patrimonio boschivo.
 
Diritti degli animali
Deve essere preservata la biodiversità.
La flotta di pesca svedese deve essere ridotta.
Gli animali devono essere trattati con rispetto. Se destinati alla macellazione, devono essere  anestetizzati, affinché non soffrano. Va, tuttavia, scoraggiato, ricorrendo a strumenti fiscali, il consumo di carne.
L'allevatore deve aver cura del benessere degli animali.
Il partito  lavorerà per lo sviluppo e l'ampio utilizzo di alternative alla sperimentazione animale.
Feministiskt initiativ  è favorevole al divieto di uso degli animali nel circo e al divieto di uso delle pellicce.
Il partito si impegnerà affinché nella legge sulla protezione degli animali sia inserita una norma che vieti la zoofilia, così come il possesso e la diffusione di materiale pornografico  zoofilo.
 
 
Politiche abitative
Tutti hanno diritto ad un alloggio a prezzi accessibili. Particolare attenzione deve essere riservata ai gruppi vulnerabili, inclusi i rifugiati, cui occorre assicurare un'abitazione.
Bisogna incentivare la diffusione di forme cooperative di locazione.
 
Cultura
L'ingresso nei musei e nelle istituzioni culturali statali deve essere gratuito.
La conservazione del patrimonio culturale richiede l'adozione di una prospettiva di genere, affinché le creazioni e le produzioni femminili vengano opportunamente valorizzate.
Feministiskt initiativ  si impegnerà a rafforzare  il ruolo delle biblioteche come luogo di incontro e   come spazio consacrato al dibattito.
Il partito si adopererà affinché, attraverso l'educazione popolare, tutti i cittadini possano partecipare sia alla fruizione che alla creazione della cultura.
 
Immigrazione e antirazzismo
Anziché discutere delle modalità di integrazione degli immigrati,  occorre spostare l'attenzione sulle discriminazioni da essi subite e porvi rimedio.
I migranti devono acquisire la cittadinanza svedese dopo tre anni di soggiorno nel Paese.
Si deve applicare lo ius soli. I bambini nati in Svezia, da genitori stranieri residenti, devono cioè avere la cittadinanza svedese.
La politica deve adottare un'ottica anti-razzista.
Le persone prive di permesso di soggiorno devono  fruire dell'assistenza socio-sanitaria e devono poter denunciare i reati di cui sono vittime, senza temere la deportazione.
I Centri di detenzione dei migranti devono essere aboliti.
Feministiskt initiativ    si adopererà ad assicurare che la Svezia accolga  un maggior numero di rifugiati.
Il partito si impegnerà a far sì che  le persecuzioni basate sul genere, sull'orientamento sessuale e sulla transessualità vengano considerate motivi validi di accoglimento delle richieste di asilo.
I rifugiati appena giunti in Svezia e i richiedenti asilo devono aver diritto alla casa, all'istruzione, all'assistenza socio-sanitaria, alle informazioni sul lavoro.
Le donne richiedenti asilo che abbiano subito violenze e abusi  devono godere di un adeguato sostegno psicologico che consenta loro di elaborare le dolorose esperienze vissute.
Nessuno deve rimanere per più di sei mesi in un Centro di accoglienza.
Deve essere agevolato il ricongiungimento famigliare.
Feministiskt initiativ   si impegnerà ad ottenere che il governo svedese  ratifichi la Convenzione ILO sui diritti dei popoli indigeni.
Il partito si adopererà a far sì che il razzismo, l'odio e la discriminazione nei confronti delle minoranze nazionali siano combattuti con determinazione.
 
Conflitti e costruzione della pace
La solidarietà internazionale e l'antimilitarismo costituiscono i capisaldi della politica di Feministiskt initiativ, la quale ritiene anche che la pace non sia semplicemente l'assenza di guerra, ma un processo che implica l'esistenza dell'uguaglianza sociale e di un'equa ripartizione delle risorse. E' questa l'esplicitazione del concetto di sicurezza globale, una nozione  assolutamente estranea a quella di sicurezza militare e che include, invece, la lotta contro la violenza strutturale praticata sulle donne.
Feministiskt initiativ si impegnerà a far sì che alle vittime di stupri di guerra sia riconosciuto lo status di rifugiate, così come accade per i perseguitati  a causa delle loro idee, delle loro opinioni politiche o  del loro orientamento sessuale.
Si adopererà ad indirizzare adeguate risorse finanziarie alla prevenzione dei conflitti e al rafforzamento dei meccanismi di  individuazione dei segnali di preallarme.
Feministiskt initiativ si impegnerà ad assicurare la partecipazione delle organizzazioni nazionali, regionali e internazionali delle donne, delle associazioni LGBT e di quelle antirazziste al processo di prevenzione, di risoluzione dei conflitti e di costruzione della pace.
La cessazione della violenza sessuale e di genere deve essere inclusa negli accordi di pace, per evitare che gli abusi proseguano anche dopo la cessazione del conflitto e per impedire che tali crimini restino impuniti.
Il partito si adopererà affinché il commercio internazionale assuma la forma e i caratteri  del commercio equo e solidale e affinché venga contrastata la posizione  dominante delle multinazionali.
Feministiskt initiativ  si impegnerà ad evitare che la Svezia aderisca alla NATO.
Essa richiede il disarmo globale, la cessazione dell'esportazione di armi e la riconversione  dell'industria bellica.  Il partito si adopererà per assicurare che la Svezia assuma un ruolo attivo negli sforzi per bandire le armi nucleari.
 
Il programma di Feministiskt initiativ, di cui ho illustrato i punti principali, non è certo esente da critiche. E' assente qualsiasi riferimento al reddito di autodeterminazione o di esistenza, sul quale le femministe italiane hanno sviluppato, invece, stimolanti riflessioni. Ciò deriva, probabilmente, dal fatto che il tasso di occupazione femminile in Svezia è molto elevato, anche se è in misura consistente a tempo parziale  e che le  prestazioni sociali in caso di disoccupazione sono ancora relativamente buone. Manca anche qualsiasi accenno a forme di autogestione della produzione. Avrei desiderato una maggiore articolazione del programma economico. Si sarebbe poi potuto provvedere all'inserimento delle cure veterinarie tra le terapie gratuite (quelle psicologiche e socio-assistenziali sono invece incluse nel programma). Sono, infine, decisamente contraria all'uso dell'energia nucleare.
Ciò nonostante, il programma del partito femminista svedese mi sembra molto interessante, in primo luogo perché animato da una visione olistica della politica e fondato su una prospettiva intersezionale, in secondo luogo perché imperniato su principi ispiratori condivisibili.
Quel che mi preme sottolineare è che si tratta di un programma squisitamente antirazzista e di sinistra, che smentisce la leggenda nera che attribuisce assurdamente alle femministe abolizioniste sentimenti xenofobi e posizioni neoliberiste, una leggenda che nasce, a mio parere, o dalla scarsa conoscenza dell'abolizionismo o da una propaganda pro-prostituzione dai toni  esasperati che non esita a demonizzare e a screditare l'avversario.